Già dalle prime fasi dell’emergenza era lampante come la reazione istituzionale alla pandemia da Covid-19, riducendo questa crisi a una mera malattia infettiva, abbia promosso misure che hanno agito come un catalizzatore per l’esacerbazione di tutte le dinamiche sociali che incrementano le disuguaglianze e il processo di vulnerabilizzazione delle fasce più svantaggiate della nostra società, apparentemente tagliando sulle linee di trasmissione virale ma non promuovendo o tutelando la salute delle comunità. Allo stesso modo le istituzioni si sono più o meno volontariamente dimenticate di una fetta di popolazione, che guarda caso è la più vulnerabile e scomoda, provando il suo totale disinteresse per le persone clinicamente e socialmente più vulnerabili.
Sulla base di queste riflessioni e sulla forte necessità individuale e collettiva di dare un significato ai nostri corpi che non fosse solo quello di vettori di contagio ma di risorsa e di strumento di solidarietà e resistenza, noi come laboratorio salute popolare abbiamo deciso di attivarci su più assi. Questo processo l’abbiamo fatto prima con un servizio di supporto telefonico psicologico e uno medico (che non mirava a fare a consigliare o imporre un trattamento ma piuttosto un orientamento ai servizi), poi con l’attività in strada che ci ha permesso di creare un servizio aperto settimanalmente basato sui bisogni riscontrati sul territorio, e infine con la collaborazione dell’associazione Approdi abbiamo creato un servizio di supporto psicologico intedisciplinare (quindi formato da psicoterapeuti e medici) che oltre a garantire la continuità di un servizio di supporto psicologico in un momento a cui non avevi accesso se non avevi un emergenza, forniva un’alternativa fonte di informazione alla narrazione iper-specialistica e volta all’incremento della paura che veniva promossa in quel momento.
La situazione che stiamo vivendo adesso dimostra senza equivoco che i nodi di fondo sono rimasti gli stessi: pur attendendo la nuova ondata, non si è fatto nulla per potenziare davvero la sanità, per potenziare i trasporti ecc., ma ad oggi, si è palesata nuovamente la strisciante responsabilizzazione dell’individuo e la conseguente deresposabilizzazione delle istituzioni e della classe dirigente che continua ad arricchirsi a discapito delle persone svantaggiate, che sono tali a causa di fenomeni eliminabili se si rinnovassero le politiche pubbliche su ambiente, salute e istruzione.
Ma il fatto che non siano state investite le risorse necessarie nella sanità e nel welfare già ce lo siamo detti troppe volte, c’è però da considerare che questa seconda ondata arriva in un momento ancora più critico per la nostra città e società tutta:
• l’emergenza freddo non partirà prima del 1 dicembre e quando partirà avrà i posti dimezzati per limitare la diffusione del virus, questo implica che seppure i dormitori non si possano considerare un posto degno dove abitare, le persone che vivono in strada (ancora non considerate dalla retorica promossa dalle istituzioni)
▪ saranno di più,
▪ avranno un rischio ancora più alto di entrare in contatto con il virus (e eventualmente anche con le multe imposte dalle forze “dell’ordine”)
▪ e una minore resilienza
• Inoltre la solidarietà che ha caratterizzato la nostra città nei mesi passati è drasticamente diminuita: le reti sociali a cui le persone più in difficoltà potevano fare affidamento sono esauste dalla precedente ondata di contagi e di dpcm, e le persone non hanno più la forza di fare fronte comune.
Sulla base di queste considerazioni risulta necessario che noi come realtà che si occupano di salute
o meglio di benessere della società e di mettere le toppe dove il pubblico fallisce, dobbiamo
collaborare e coordinarci nel suppporto delle persone più svantaggiate ma soprattutto costruire
insieme un percorso di advocacy e di rivendicazioni che arrivino come un messaggio chiaro, forte e
unito.
Il nostro ruolo quindi è da un parte favorire la partecipazione delle persone che di solito non hanno una voce, coinvolgendole direttamente nelle nostre lotte e sottolineando l’importanza delle loro esperienze che ci possono far capire dove sono le falle più importanti del nostro sistema di welfare cittadino (anche se alcune le abbiamo già trovate, come la chiusura delle questure, dei CUP , la necessità di una residenza ecc.) e dall’altra parte mettere in rete le risorse che abbiamo per far fronte agli eventi che ci riservano i prossimi mesi e mettere in pratica una rielaborazione e un’alternativa.
Come laboratorio di salute popolare sentiamo dunque di avere la responsabilità di dimostrare che esiste un modo per ripartire dal basso e costruire una realtà inclusiva che abbia come fine comune quello di non lasciare indietro nessuno e di intervenire sulle cause e sulle condizioni in cui il virus diventa davvero letale, ovvero le disuguaglianze sociali.
Vogliamo continuare a impegnarci nelle nostre attività di intercettazione delle marginalità, andando per strada, vivendo la realtà delle mense cittadine. Vogliamo impegnarci a costruire nel prossimo futuro percorsi di autoformazione aperte alla cittadinanza tutta, coordinandoci con l’enorme rete di solidarietà che anima questa città, studiando e costruendo mappe della città volte a valutare quali e quanti quartieri richiedano un aiuto immediato per uscire dal cono d’ombra in cui si trovano da ormai troppo tempo. Per farlo però abbiamo bisogno di tutte e tutti voi.
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